domenica 14 dicembre 2008

Stato, un termine con più significati

Lo Stato si può definire come un insieme di persone che vivono stabilmente su un territorio e sono sottoposte alla medesima autorità sovrana. Gli elementi costitutivi dello Stato sono quindi tre: popolo (cioè i cittadini), territorio e autorità sovrana (cioè la sovranità che si manifesta internamente nel monopolio della forza sui presenti sul proprio territorio ed esternamente nella indipendenza e originarietà rispetto agli altri Stati).
La parola “Stato” viene utilizzata sia nei testi giuridici sia nella lingua corrente in più significati, a seconda che si stia sottolineando implicitamente uno o l’altro dei suoi tre elementi costitutivi.
Quando diciamo “Nello Stato italiano la vita media è circa 75 anni” stiamo sottolineando l’aspetto del popolo e si dice che si sta parlando dello Stato inteso come Stato – comunità.
Quando diciamo “Bisogna pagare le tasse allo Stato” allora si sta sottolineando l’aspetto della sovranità che lo Stato esercita attraverso una propria organizzazione: si dice che si sta parlando dello Stato inteso come “Stato – apparato” cioè lo Stato inteso come ente, persona giuridica.
Quando diciamo “Lo Stato italiano si articola in Regioni, Comuni, Province” si sta sottolineando il rapporto tra tutti e tre gli elementi, si sta cioè considerando l’assetto dei pubblici poteri tra loro e con i cittadini e si dice che si sta parlando dello Stato inteso come Stato – ordinamento (si potrebbe anche dire come sistema giuridico).

L'AUTONOMIA DEL COMUNE

Comuni e Province sono enti pubblici costituzionalmente previsti per operare per il perseguimento e la cura degli interessi locali della comunità di riferimento. A tale scopo essi sono dotati di molteplici forme di autonomia, anche politica.
Il Comune è un ente territoriale di base, riconosciuto a livello costituzionale, dotato di autonomia politica, normativa (statutaria e regolamentare), organizzativa e amministrativa, nonché di autonomia tributaria, finanziaria e contabile che rappresenta la propria comunità, ne cura gli interessi e ne promuove lo sviluppo (artt.. 3 e 13 del d..lgs. 267/2000).
Definiamo meglio in cosa consistono i diversi tipi di autonomia.
Autonomia politica: è la possibilità di determinare un proprio indirizzo politico cioè di scelta di obiettivi da raggiungere e mezzi per raggiungerli, autonomo, naturalmente nelle mateterie di propria competenza, rispetto a quello di altri enti. Per il comune è più corretto parlare di autonomia politico - amministrativa, per sottolineare che la portata delle scelte comunali è, per la natura locale degli interessi curati e per i poteri di normazione solo secondaria, di livello più limitato rispetto all'autonomia politica regionale e alla sovranità politica statale.
Autonomia normativa, cioè di produzione di norme è sia statutaria sia regolamentare.
L’ Autonomia statutaria (art. 114 comma 2 Cost.) è il potere (e dovere) di adottare un proprio Statuto cioè l’atto normativo fondamentale che in armonia con la Costituzione e con i principi generali in materia di organizzazione pubblica e nel rispetto di quanto previsto dalla legge statale approvata in base all’art. 117, comma 2, lett. p) Cost., stabilisce le norme fondamentali di organizzazione dell'ente specificando le attribuzioni degli organi, le garanzie delle minoranze e le forme di partecipazione popolare.
L’ Autonomia regolamentare è il potere di adottare regolamenti. Oggi l’art. 117, comma 6 Cost., dispone che comuni, province e città metropolitane abbiano potestà regolamentare in ordine alla disciplina dell’organizzazione e del funzionamento delle funzioni loro attribuite.
In attuazione di tale previsione l’art. 4, comma 3 della l. 131/2003 stabilisce che l’organizzazione degli enti locali è disciplinata dai regolamenti nel rispetto delle norme statutarie; il successivo comma 4 aggiunge che la disciplina dell’organizzazione, dello svolgimento e della gestione delle funzioni dei comuni, delle province e delle città metropolitane è riservata alla potestà regolamentare dell’ente locale, nell’ambito della legislazione dello Stato o della Regione, che ne assicura i requisiti minimi di uniformità, secondo le rispettive competenze, conformemente a quanto previsto dagli artt. 114, 117, comma 6 e 118 della Costituzione.
La previsione costituzionale introdotta nel 2001 ha certamente modificato il rapporto preesistente tra le fonti del diritto, facendo sì che i rapporti tra Statuto comunale e leggi nazionali e regionali e fra e regolamenti comunali e leggi statali e regionali non sia solo di semplice gerarchia, ma anche di competenza.
In pratica il rapporto tra i diversi livelli di legislazione diventa molto più complesso: lo Statuto comunale, la cui adozione è costituzionalmente prevista, deve rispettare non solo la Costituzione ed i principi generali in materia di organizzazione pubblica, ma anche il rispetto di quanto stabilito dalla legge statale in attuazione dell’articolo 117, secondo comma, lettera p) della Costituzione che prevede la competenza esclusiva statale in tema di legislazione elettorale, organi di governo e funzioni fondamentali di Comuni, Province e Città metropolitane.
Se questo da una parte conferma per lo Statuto comunale la natura di fonte di livello secondario, tuttavia dall’altra la sottoposizione ai soli “principi” e “norme fondamentali” individua uno spazio riservato all’ente locale di predisposizione di normativa di attuazione e integrazione non violabile dalle stesse leggi statali o regionali e tantomeno da regolamenti statali o regionali, e quindi si delinea una situazione di divisione delle competenze.
Lo stesso si può dire per i regolamenti; infatti per l’art. 117 Costituzione la potestà regolamentare spetta alle Regioni nelle materie che non sono di competenza statale, ma i Comuni, le Province e le Città metropolitane hanno potestà regolamentare in ordine alla disciplina dell'organizzazione e dello svolgimento delle funzioni loro attribuite. Quindi organizzazione e svolgimento dei servizi comunali devono essere regolati da regolamenti comunali e tale competenza non può essere violata neanche da fonti primarie (leggi statali o regionali) che pure sono superiori nella gerarchia delle fonti: in pratica neppure le fonti primarie (e tantomeno altre fonti secondarie, ad esempio regolamenti statali o regionali) potranno spingersi troppo in dettaglio nel disciplinare organizzazione e funzioni comunali, perché la normativa di dettaglio è riservata ai comuni stessi.
Quindi Statuto e regolamenti comunali sono fonti secondarie, sottoposte alla Costituzione e alle fonti primarie: tuttavia queste ultime non possono invadere lo spazio riservato dalla Costituzione allo Statuto e ai regolamenti comunali che quindi si pongono in un rapporto con gli altri enti non solo di gerarchia, ma anche di competenza.
Il Comune è anche ente dotato di autogoverno, cioè il Comune ha la facoltà di amministrarsi attraverso propri organi che sono:
- il consiglio comunale, organo di indirizzo e controllo politico-amministrativo;
- la giunta comunale, organo esecutivo con competenza generale e residuale;
- il sindaco, organo individuale che svolge la duplice funzione di capo dell’amministrazione comunale e ufficiale di Governo.
Autonomia organizzativa e amministrativa: è il potere di decidere la propria organizzazione e le proprie modalità di attuazione ed esecuzione delle norme, anche emanando atti amministrativi aventi la stessa forza di quelli statali (autarchia), naturalmente nel rispetto della Costituzione e della legge statale in tema di legislazione elettorale, organi di governo e funzioni fondamentali di Comuni, Province e Città metropolitane.
Autonomia tributaria a finanziaria e contabile, consistente nella capacità dell’ente di imporre propri tributi e di provvedere ad impiegare le proprie risorse finanziarie secondo i criteri contenuti in un bilancio predisposto ed approvato dai propri organi.
A titolo di esempio possiamo leggere lo Statuto del Comune di Pistoia.

lunedì 8 dicembre 2008

AUTONOMIE LOCALI, UNA PRIMA DEFINZIONE

L'art. 5 della Costituzione italiana recita testualmente "La Repubblica, una e indivisibile, riconosce e promuove le autonomie locali; attua nei servizi che dipendono dallo Stato il più ampio decentramento amministrativo; adegua i principi ed i metodi della sua legislazione alle esigenze dell'autonomia e del decentramento." Ma cosa deve intendersi con "Autonomie locali"? E che differenza passa tra Autonomia e Decentramento? Con Autonomie locali si fa riferimento essenzialmente ai Comuni e alle Province, enti territoriali a cui lo Stato riconosce, appunto, un certo potere politico (cioè di autodeterminazione di fini da perseguire e di mezzi per raggiungerli), grazie all'autogoverno (cioè alla possibilità di eleggere organi rappresentativi come i Consigli comunali e provinciali) e una certa potestà normativa (cioè di produzione di norme) in alcune materie che sono lasciate alla loro competenza per la cura degli interessi delle comunità che rappresentano.
Con decentramento amministrativo, invece, si intende la semplice dislocazione dell'esecuzione di compiti e magari anche di una certa potestà decisionale (comunque non politica, bensì di applicazione di politiche già decise) dagli organi centrali dello Stato agli organi periferici dello Stato stesso o di altri enti pubblici.
Anche le Regioni fanno parte del disegno pluralistico tracciato nell'art. 5, anzi ne costituiscono la parte più significativa. In virtù dell'autonomia loro riconosciuta dalla Costituzione sotto vari aspetti: politica, legislativa, regolamentare, amministrativa, finanziaria, tributaria, le Regioni sono sicuramente le più importanti "Autonomie" e, appunto per questo, il termine "locali" appare oggi per esse troppo riduttivo, soprattutto dopo la riforma approvata con la legge costituzionale n. 3 del 2001 che ha riscritto quasi interamente il Titolo V (artt. 114 - 133) della nostra Carta fondamentale.
Per quanto riguarda Comuni e Province, oltre alla Costituzione, la normativa più importante è costituita dal Testo Unico sugli enti locali approvato con Decreto Legislativo n. 267/ 2000.